
Daniela Iotti, Avanti
16 Jan 2025
Entusiasmo alle stelle da parte di un pubblico che non smetteva di manifestare il proprio affetto e la propria stima, dopo un ascolto attentissimo e nel silenzio più concentrato.
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Il Quartetto “Fibonacci“, vincitore della tredicesima edizione del Concorso internazionale per quartetto d’archi “Paolo Borciani”, in concerto martedì al Teatro “Valli” di Reggio Emilia, ha confermato non solo il proprio valore ma la straripante simpatia che già nel giugno scorso, in occasione dello storico Concorso reggiano, gli aveva fatto guadagnare anche il premio speciale del pubblico.
Programma impegnativo e vario che dal “Padre” del Quartetto, Franz Joseph Haydn, col Quartetto op. 76 n. 4 in si bemolle maggiore, denominato Aurora, giungeva, con scarto cronologico, al Quartetto n. 1 in mi minore, Dalla mia vita, di Smetana, del 1879, per finire col celeberrimo Quartetto n. 14 in re minore di Schubert, noto col titolo La morte e la fanciulla.
Già l’approccio a colui che gettò le basi del genere classico del Quartetto d’archi, dando inizio a una storia secolare, che, viva ancora oggi, non ha mai smesso di considerare questo raggruppamento strumentale, divenuto al contempo un genere e una forma, luogo di massimo rigore e impegno compositivo, è stato rivelatore. Una interpretazione proiettata nel futuro nella resa di un suono che, oltre i parametri di melodia e armonia, si fa strato sonoro, mostrando il divenire vario e multiforme della sua sostanza acustica; e dentro questa materia vivente, i giovani interpreti del “Fibonacci” hanno trasmesso il gioire della sostanza mondana del Minuetto, depurata dalle grazie stereotipate del Settecento e rinvigorita dalle voci popolari del Trio; o ancora, nell’Adagio, hanno toccato la profondità della meditazione religiosa, intesa anche come contemplazione laica al cospetto dell’immensità di una natura, colta al suo risveglio (da cui il titolo) nell’Allegro iniziale.
Salto cronologico, tra Haydn e Smetana, ma vicinanza nell’intrecciare le severe architetture compositive, proprie del quartetto d’archi, al mondo esterno, alla natura, o, come per il compositore ceco, alla propria vita e alle proprie vicende esistenziali; il quartetto Dalla mia vita, coniuga, in una varietà di stili e atmosfere, momenti diversi, riconducibili alla sfera personale dell’autore e dettagliatamente annotate in un programma a parte. Ed è significativo che Smetana, iniziatore di un linguaggio nazionale, attento alle musiche popolari autoctone, abbia voluto piegare la severa e astratta architettura del quartetto d’archi ad una realtà esterna, a testimonianza di come anche la musica strumentale debba condividere una dimensione, per così dire, rappresentativa.
Seconda parte del concerto con quello che è considerato il cavallo di battaglia del “Fibonacci”, La Morte e la Fanciulla. Pezzo arcinoto, ma restituito nel segno di una profondità di lettura, meditato e originale: dilatazione dei tempi, uso studiato delle pause, silenzi che parlano, capacità di dosare i contrasti tra zone concitate e momenti di statica sospensione; e ancora pianissimi di rara suggestione, possibili solo con un controllo assoluto del suono che questi giovani musicisti dimostrano di possedere in sommo grado.
Quattro giovani di diversa nazionalità, i quali, fatto inconsueto, hanno al loro attivo una carriera anche come solisti, prime parti d’orchestra e membri di altri ensemble cameristici. Multiformi nei repertori affrontati, così come nella flessibilità di ruolo (i due violini si alternano nel ruolo di primo).
Entusiasmo alle stelle da parte di un pubblico che non smetteva di manifestare il proprio affetto e la propria stima, dopo un ascolto attentissimo e nel silenzio più concentrato.
Due i bis, trasversali, anche questi: un arrangiamento per quartetto d’archi della colonna sonora del film Nuovo cinema paradiso di Morricone e un corale di Bach rivisitato.
Daniela Iotti